di Leonardo Barattin.
Articolo apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa il 12/02/2020
Ad inizio dicembre 2019, commentando la scomparsa di Pietro Terracina – uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz – Liliana Segre rilasciava al quotidiano La Stampa la seguente dichiarazione: “Perdonerete se sono così pessimista, mi spiace soprattutto per i giovani che mi scrivono lettere meravigliose e per tutte le persone dolcissime che mi applaudono o mi fermano per strada, ma io credo che si coltivi troppo poco la memoria e che, con la nostra scomparsa, tutto finirà. Senza Piero, io oggi mi sento più sola”.
Guardando ad est, nuove rotte della memoria
L’Associazione Viaggiare i Balcani , che da anni si confronta con il tema della memoria e delle memorie, ha cercato di dare una risposta concreta a questa dichiarazione-appello della senatrice a vita, studiando e realizzando un itinerario che propone stabilmente, in particolar modo alle scuole. Si tratta per l’appunto di un “Viaggio della Memoria e delle Memorie”, che, prendendo spunto dalle narrazioni e dalle iniziative legate all’Olocausto e alla data del 27 gennaio, ha portato studenti e studentesse a guardare verso Est: Trieste, Jasenovac e Belgrado sono state le tappe principali di un percorso durante il quale studenti e docenti hanno ascoltato voci e toccato con mano luoghi che spesso sono nell’ombra o sono addirittura sconosciuti. Da tempo l’associazione desiderava dare un soffio di vita a queste memorie e a questi luoghi della memoria e le parole di Liliana Segre si sono perfettamente incrociate con i lavori in corso.Il lungo dialogo nella Sinagoga di Trieste e nella sede della Comunità ebraica belgradese – alla presenza di un sopravvissuto all’Olocausto – e la riflessione su quanto accaduto al campo di sterminio di Jasenovac e al campo di Staro Sajmište a Belgrado ci hanno permesso di comprendere l’estensione e la capillarità delle politiche razziali e di eliminazione perseguite dalla Germania nazista, dai suoi alleati (tra cui l’Italia fascista) e dai cosiddetti satelliti. Un fenomeno europeo, che se ha in Auschwitz uno dei suoi simboli più potenti, si è però rivelato con molti volti in molti luoghi differenti.
Le tappe della consapevolezza
Nel corso del viaggio, grazie ad un intenso lavoro di informazione, riflessione e confronto e grazie ad un contatto costante con il territorio, abbiamo visto ragazzi e ragazze crescere in consapevolezza, non solo sotto il profilo dei contenuti, ma anche della loro percezione e sensibilità come persone e cittadini.Trieste ci ha accolto in quella Piazza Unità d’Italia in cui Benito Mussolini ha annunciato l’introduzione delle Leggi razziali il 18 settembre 1938, ci ha permesso di ragionare con la locale comunità ebraica sullo stupore, la delusione ed il terrore degli ebrei triestini di scoprirsi “non italiani” e ci ha scaricato addosso tutto il peso del suo cielo grigio e cupo e dell’altrettanto grigio e cupo muro di cemento della Risiera di San Sabba: unico campo di sterminio sul territorio della penisola, testimone della morte anche di numerosi antifascisti sloveni, croati e italiani.Il memoriale di Jasenovac – adagiato lungo il fiume Sava che fissa il confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina – ci ha offerto un ponte per collegare l’Olocausto alle vicende dei Balcani, in particolare a quelle della Jugoslavia del ‘900, con i suoi drammatici contrasti tra serbi e croati, la sorte nefasta di ebrei e rom residenti nello Stato Indipendente Croato e la difficoltà di realizzare in questo luogo “politiche della memoria” da parte dei vertici dello Stato socialista.Belgrado ci ha poi fornito la percezione piena della sistematicità dell’Olocausto nell’Europa sotto il controllo della Germania nazista, nonché della determinazione nel portarlo a compimento. Qui, l’incontro con il testimone sopravvissuto alla persecuzione – nato da un padre ardente d’amore per la Serbia e ripagato con la morte – ci ha fatto comprendere l’incredibile straordinarietà di questa e di mille altre biografie; e ci ha fatto avvertire il potente contrasto tra la fuga e il nascondiglio in piccoli territori martellati da pattuglie e il nostro passaggio quasi inconsapevole del confine tra Lubiana e Trieste, nell’Unione europea del 2020. La visita al campo di Sajmište ci ha messo infine ruvidamente a contatto con le categorie dei carnefici, delle vittime e di coloro che “assistono” a ciò che accade, ma anche con i concetti di memoria e oblio, di cura e abbandono. Sajmište è infatti sospeso tra ciò che è stato e ciò che è: tra un passato di persecuzione, oppressione e morte che ancora si legge sul terreno ed un presente fatto di abitazioni e strutture sportive, di un asilo e un ristorante, di panni stesi sui fili e galline che razzolano sul prato.Non ci sfugge il filo che porta a Novi Sad, a Sarajevo, ad Arbe e in numerosissimi altri luoghi della regione e al di fuori di essa. Continueremo così a promuovere e approfondire questa proposta, perché crediamo che l’Europa di oggi e di domani passi decisamente anche per questi luoghi, per questi racconti, per queste memorie; perché siamo convinti che la formazione, la consapevolezza e la sensibilità di giovani e adulti fioriscano da queste esperienze.