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Diciannovesimo Post – 16 gennaio 2012

tag: cibo, pace, strade

Si può fare il giro dei Balcani – e anche oltre – mangiando un dolcetto?
Certamente… il difficile sta nel non perdersi (anche se, diciamolo, spesso il bello è proprio perdersi…), perché è una strada da cui partono tanti sentieri, che a loro volta portano verso altre strade, e magari capita poi che queste si ricongiungano a quella da cui si era partiti… ma non sempre…

Per me, che ho una formazione storica, tutto questo ha un fascino irresistibile.
A Mostar abbiamo mangiato friabilissimi biscotti al burro a forma di mezzaluna che lì chiamano semplicemente lokumi (da non confondere con gli altri lokum, le “delizie turche”, cubetti morbidi di zucchero e amido che con i loro colori vivacizzano le vetrine delle pasticcerie dei Balcani centro-meridionali).
Lokum deriva dall’arabo luqma, che significa “morso, boccone”.
Non appena messo in bocca un pezzetto mi sono resa conto che erano i fratelli gemelli dei kourabiedes greci (che però, come i gurabia armeni, vengono preparati in particolare durante il periodo natalizio). E sono gemelli anche dei curabiè (o curambiè) triestini, spicchi burrosi con farina di mandorle che dovrebbero essere la versione locale dei kipferl austriaci, ma il nome è chiaramente quello greco. E la forma è ancora una volta la mezzaluna turca (la stessa che gli austriaci hanno adottato per lo strudel… in cucina capita anche che si adottino gli usi del nemico…).
Anche in altre zone dei Balcani (nella stessa Bosnia, in Serbia, in Albania) esistono dolcetti secchi dal nome simile, gurabjie, anche se non dappertutto ci si riferisce alla medesima ricetta, anzi: spesso con questo termine si intendono genericamente biscotti e focaccine (in turco, kurabiye significa “biscotto”).
E se ci si muove ancora più a sud ed est (vicino e medio Oriente, nord Africa) troviamo altri dolcetti dal nome simile (ghorabiye, qurabiya, ghoriba, ghoorabie, karabige), anche se talvolta gli ingredienti ed il procedimento sono differenti (e anche molto, come nel caso dei libanesi karabige, pasticcini di semola ripieni di pistacchi).

Quindi, quindi… eccomi alle prese con l’ennesimo tour semantico-gastronomico… mi sto perdendo ancora una volta tra ricette, nomi, forme… e poi, inaspettatamente, mi imbatto nella spiegazione, grazie a Predrag Matvejević e al suo Breviario Mediterraneo.

Gurab è un termine arabo che stava ad indicare la nave ammiraglia della flotta. I Turchi, spiega Matvejević, adotteranno questa (come molte altre parole arabe) e la diffonderanno anche nei Balcani, dove comincerà ad indicare dolci a forma di barca: gurabija, gurabije. La barca incontra la simbologia di questo popolo arrivato dalle steppe asiatiche e diventa mezzaluna. Le parole (che già gli Arabi avevano diffuso) e le ricette cominciano a viaggiare insieme a loro, pur seguendo percorsi differenti e modificandosi di conseguenza.
Non mi stancherò mai di ripeterlo: il cibo ci offre la dimostrazione pratica che la fratellanza vince sulla discordia.

Perché, come dicono i cuochi di Chefs for Peace, che da anni usano questo mezzo meraviglioso per promuovere la pace in una città dal fragile equilibrio come Gerusalemme, “la cucina è fatta di storie straordinarie. Riunisce tutte le lingue in una. E’ come l’amore”.
Di più, dico io. La cucina E’ amore.

E poiché a monte (ma molto, molto a monte, almeno temporalmente… quasi sette anni sono passati) di questo progetto ci sta un piccolo e introvabile (da queste parti) libro di cucina, che parla proprio di fratellanza in un remoto angolo dei Balcani (da dove mi venne spedito), ed in cui la mittente aveva scritto, in calce alla dedica: “La cucina può salvare il mondo….?”… torneremo a parlare ancora di cucina come veicolo di pace.

CopyrightTesti e fotografie © Elisabetta Tiveron – Nicola Fossella 2011.
Tutti i diritti riservati.
Website: www.lastradadelcibo.com

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