E oggi non sono pochi quelli che ci vengono per il weekend, con gli scarponcini o la mountain bike d’estate, gli sci da fondo o le racchette da neve in inverno.
Durante il conflitto del 1999 il canyon di Rugova e l’area montuosa nei dintorni della città di Pec/Peja davano rifugio ai guerriglieri dell’Uck, l’esercito di liberazione del Kosovo, molti dei quali ora siedono tra i banchi del governo, dopo l’indipendenza dalla Serbia autoproclamata nel 2008.
Si dice siano ancora parecchi i contrabbandieri che passano illegalmente per la val Rugova per arrivare in Montenegro, ma in realtà per l’escursionista di oggi il pericolo più grande è il colpo di calore nelle ore assolate: l’estate kosovara, calda e secca, ha temperature che superano spesso i 35 gradi.
Le acque limpide del fiume Lumbardhi si incanalano nel Rugova Canyon, alla cui imboccatura sorge il luogo più sacro della chiesa ortodossa serba, il Patriarcato di Pec, nome serbo della città. Un sito ancora conteso, protetto dai militari italiani della Kfor che proprio poco distante hanno la loro base, Villaggio Italia. Tra i prati, le foreste e le rocce di questa zona lussureggiante, e ancora poco contaminata, il “Tavolo trentino per il Kossovo”, finanzia un progetto di turismo sostenibile in collaborazione con l’associazione locale Marimangat e Pejes, i Ragni di Peja.
“Questo alla nostra destra è il centro Zoom, dove abbiamo la palestra invernale per l’arrampicata”, spiega Egzon, la giovanissima guida, mentre insieme a Zana, l’interprete, ci incamminiamo dal centro città per l’escursione al villaggio di Lumbardhi, 1700 metri di altitudine. Egzon, 18 anni, ha seguito i corsi di formazione con la guida alpina Lorenzo Isgnieri, e insieme agli altri “Ragni” dell’associazione si dedica agli sport di montagna per 12 mesi l’anno: dallo sci all’arrampicata, dal trekking alla speleologia. “In inverno qui c’è una neve soda e compatta, ideale per le escursioni con le racchette da neve. Molti stranieri che vivono in Kosovo lavorando per le organizzazioni internazionali passano il fine settimana qui, o a Bresovica, stazione sciistica al confine con la Macedonia”, puntualizza Syzana Baja, responsabile dell’ufficio, mentre mi offre l’immancabile caffè turco con succo di frutta. “ Per chi cerca vacanze meno avventurose – aggiunge – abbiamo anche itinerari culturali e degustazioni di prodotti locali biologici”.
L’ascesa al villaggio di Lumbardhi comincia con quasi un’ora di percorso lungo la strada asfaltata, battuta da ragazzini e gitanti, a piedi o in bicicletta, in cerca di un po’ di fresco lungo le rive del fiume. Altre quattro ore di salita su strada sterrata, quasi tutta all’ombra di un fitto bosco, conducono a una prateria punteggiata di piccoli chalet, autocostruiti tagliando i pini del bosco e dotati persino di parabola, alimentata da generatori a gasolio. L’elettricità, che spesso viene a mancare anche nella capitale Pristina, ovviamente non arriva fino a qui.
Uno dei più gravi problemi della valle è il commercio abusivo di legname, mentre nell’incantevole sottobosco non mancano, tra frutti di bosco, farfalle e orchidee, anche cartacce e lattine, equamente divise tra prodotti multinazionali e la birra locale Peja. Sensibilizzare gli abitanti alla tutela dell’ambiente è un altro dei compiti dei Ragni, insieme all’ufficio del turismo e ad altre associazioni locali. Si parte dai bambini delle elementari, con laboratori ed escursioni per far conoscere la natura, e si arriva alle campagne simboliche, come la distribuzione di sacchetti di plastica ai gitanti della domenica pomeriggio, accompagnati da volantini che invitano a non abbandonare i propri rifiuti.
La sera, mentre ci riscaldiamo al fuoco e ammiriamo dall’alto le luci della città di Peja, Egzon e Zana mi raccontano un po’ di folklore, sogni e aspirazioni. “Qui il periodo migliore è agosto”, dice lei, il cui nome significa Fata: “è il mese in cui rientrano tutti i kosovari della diaspora, e per loro si organizzano eventi teatrali e musica tradizionale”. Per non parlare dei matrimoni: si aspetta tutto l’anno per celebrarli insieme agli zii d’America o di Germania, e sono tante le famiglie che si indebitano organizzando feste da oltre 20 mila euro. Nonostante i 10 anni di presenza internazionale, il Kosovo è ancora privo di un’economia degna di questo nome. La disoccupazione tocca punte del 70% e, a parte i traffici illegali sui quali le stime sono discordanti, molte famiglie sono di fatto mantenute dai parenti all’estero. Per l’economia locale, il turismo sostenibile, accompagnato come in questo caso da progetti integrati per l’agricoltura biologica e la valorizzazione dei prodotti locali, può diventare nel tempo una vera boccata d’ossigeno.
Ma se i trekking dei “Ragni” avranno successo, il risultato più grande forse sarà sui visitatori stranieri e sui luoghi comuni che accompagnano i Balcani. Certamente teatri di guerre e distruzioni, ma anche baciate dalla bellezza della natura, da spettacolari eredità artistiche, e da un senso dell’ospitalità ormai dimenticato in troppe parti della vecchia Europa.
INFORMAZIONI UTILI
Pec/Peja, 120 mila abitanti, dista circa 70 km dalla capitale del Kosovo, Pristina, raggiungibile con voli diretti da numerose città italiane tra cui Verona. L’autobus da Pristina a Pec/Peja impiega poco più di 2 ore con un costo di circa 5 euro. Nei dintorni, da non perdere la visita al Patriarcato e al Monastero di Decanj, patrimonio Unesco, tra i più begli esempi di architettura romanica e pittura bizantina di tutti i Balcani. Nel sud, merita una visita Prizren, città turca dal centro storico ben conservato, con una moschea dove è praticata la tradizione dei dervisci rotanti.
Trekking e camminate