Lo scrigno di Mostar
Racchiude un mondo intero il centro storico di Mostar, ricostruito completamente dopo che la guerra l’ha quasi raso al suolo. Lungo la via, le scritte in inglese su alcune pietre poste sul ciglio della strada, ricordano a chi passa di là di “non dimenticare” quel terribile 1993. Mostar è quasi troppo bella per essere vera. E di notte, il suo scrigno si illumina, accende le sue strade, i suoi monumenti e i suoi edifici sacri di mille luci che avvolgono la città in un’atmosfera da fiaba.
Le vie acciottolate, lungo le quali spuntano i minareti delle moschee, i quartieri dei commercianti con gli oggetti di artigianato a misura di turista, i mulini di pietra, le acque impetuose della Neretva che attraversa la città. E poi il ponte. Quel mitico ponte tanto amato quanto odiato, da essere distrutto. Il ponte simbolo dell’unità e del dialogo che i nazionalismi hanno tentato di spezzare. Quel ponte oggi ricostruito, bianco e bello, è diventato Patrimonio dell’Umanità e simbolo di pace.
Mostar si apprezza nella sua interezza soltanto se si visita anche la sua parte più nuova e moderna, dove gli edifici ricostruiti e ritinteggiati di fresco si alternano a interi caseggiati crivellati dalle granate. La memoria e le ferite della guerra si riflettono nelle tombe bianche dei cimiteri. Come quello lungo la Bajatova, in pieno centro, accanto ad una delle moschee più antiche, all’inizio della salita verso la torre dell’orologio: le commoventi lapidi bianche, che riportano tutte lo stesso anno di morte, fanno ormai parte del paesaggio urbano.
Il ponte storto. La passeggiata lungo le strade di Mostar può cominciare dal Kriva Cuprija, il ponte storto, fratello minore di quello più famoso e imponente costruito a poche centinaia di metri, con tutta probabilità prendendo come modello proprio questo. Costruito nel 1558, otto anni prima dell’altro, ne subì la stessa sorte: distrutto dalla guerra nel 1993 e da una piena che lo travolse alla fine degli anni ’90, è stato finalmente riconsegnato alla città insieme al resto del centro storico nel 2004. Superato il ponte, lungo le vie acciottolate che costeggiano il fiume (un affluente della Neretva) dalle acque turchesi e impetuose, sono stati riportati all’antica bellezza gli antichi mulini di pietra che oggi ospitano suggestivi ristoranti, bar e hotel.
L’antica Tabahna. Passando sull’altra riva, arrivati all’altezza dell’ufficio informazioni, accanto alla moschea Tabacica, merita deviare dalla strada principale e arrivare fino alla piazzetta acciottolata che ospita un vecchio hamam restaurato e su cui si apre la porta di accesso alla Tabahana. Attraversando l’ex bagno turco, oggi trasformato in un luogo di bar e ristoranti, e uscendo sulla terrazza, si può ammirare una degli scorci più suggestivi sulla riva sinistra della Neretva e sul Ponte Vecchio.
Il simbolo della città. Quel ponte, con la ripida scalinata e la stupenda vista che si gode dalla cima, ha da sempre rappresentato l’unione delle due anime che hanno da sempre composto la città, quella orientale musulmana e quella occidentale cattolica, da sempre vissute insieme in armonia. Una città multietnica da secoli, ma con un’anima sola: quella che la guerra ha tentato di dividere con la forza, colpendo anche i suoi monumenti più significativi, come il Ponte Vecchio. Squarciato in due nel 1993, oggi il ponte dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, è tornato ad essere bello come una volta. Inaugurato il 23 luglio 2004 dopo che i lavori, superando nove anni di ostacoli, sono stati portati avanti con gli antichi metodi di costruzione. I ragazzi oggi come allora si cimentano in gare di tuffi, lanciandosi dal parapetto del ponte, alto 21 metri. Una volta era il modo per dimostrare il proprio coraggio e conquistare la ragazza dei sogni. Oggi, chissà.
L’anima commerciale e artigiana. Attraversato il ponte, si arriva in Kujundziluk, con tutta probabilità la via più pittoresca della città. È la via dei commercianti e degli artigiani, che espongono la loro mercanzia sulle bancarelle di fronte alle loro botteghe. ll nome di questa parte del vecchio quartiere commerciale (carsija) deriva dalla categoria artigianale degli orefici (kujundzija) che, a suo tempo si associarono alla corporazione di arti e mestieri (esnafi). Oltre agli orefici, a Mostar c’erano mercanti di ferrame, pellicciai, bachicoltori, orologiai, conciapelli, armaioli.
La moschea più suggestiva. Verso la fine del viale si incontra una delle moschee più grandi e più belle, quella di Koski Mehmed Pasa: spicca su tutte le altre e il suo profilo si nota affacciandosi dal Ponte Vecchio, sia di giorno sia di notte, quando viene illuminata e acquista un’atmosfera ancora più magica. Appena varcata la soglia attraverso il grande portone di legno, a spiccare è la tradizionale fontana delle abluzioni rituali (sadravan) che, nel caso di questa moschea è ancora più significativa visto che si tratta del manufatto originario, risalente al 1781 e scampato alle distruzioni belliche. L’edificio (e in particolare la medresa) può essere ammirato anche uscendo e girando a sinistra sulla piazzetta dove viene allestito un mercato. Affacciandosi al muretto di protezione, questo è anche un ottimo luogo per ammirare uno scorcio del Ponte Vecchio e delle acque della Neretva.
Verso la Mostar moderna. Proseguendo oltre la zona pedonale, dopo aver superato il mercato popolare, si apre un viale moderno, la via commerciale di Mostar, Brace Fejica. E’ una via interessante da percorrere, anche per osservare il lento scorrere della vita della cittadina, fuori dal pittoresco (ma anche più turistico) centro storico. Percorrendola fino in fondo si arriva a quello che un tempo era il cuore asburgico della città, passando fra edifici che recano ancora i segni dei bombardamenti, negozi e bar moderni, oltre a due interessanti moschee, fino alla confluenza con il Ponte di Tito, riportato a nuova vita dopo le distruzioni della guerra. Da qui si arriva al nuovo Ginnasio, uno degli esempi della Mostar post-bellica.
Il Ginnasio della rinascita. Dipinto di arancione, lo stile del nuovo Ginnasio, il liceo della città, unisce le forme degli edifici asburgici alle decorazioni orientaleggianti. È il primo edificio a essere stato rimesso completamente a nuovo, in una zona ancora circondata da palazzi crivellati dai colpi di granata. L’impatto è notevole e sembra voler lanciare un messaggio alla città stessa e ai suoi visitatori: Mostar vuole ritornare all’antico splendore e per riuscirsi punta sui giovani e l’istruzione.
Da vedere almeno una volta nella vita. La rinascita di Mostar è iniziata, ma è tutt’altro che finita. Questo non significa che la città non meriti da subito una visita. Anzi. Vederla ora, in bilico tra passato e futuro, rappresenta una lezione ancora più significativa di quanto potrà essere fra qualche anno. Sarà anche per questo che il National Geographic, nella sua lista dei 50 posti da vedere nel 2012 (50 Tours of Lifetime 2012 http://travel.nationalgeographic.com/travel/tours/), ha messo al primo posto proprio Mostar.
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