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Sarajevo, laboratorio cosmopolita
Un itinerario alla scoperta del paesaggio urbano che rinasce fra arte, storia e cultura
“Sarajevo è un laboratorio. Di convivenza, di raccordo, di apertura, di incontro. Alla violenza nazionalista questa specificità dava fastidio e ha tentato in tutti i modi di distruggerla. Ma non ci sono riusciti”. La nostra guida, Dina, pronuncia quest’ultima frase con orgoglio, anche se la voce tradisce ancora sofferenza. Che la rinascita di Sarajevo, a 17 anni da Dayton, sia tutt’altro che completa lo capisce subito anche un turista di passaggio. E non soltanto per via di alcuni edifici che mostrano ancora i segni delle granate.
Cosa è diventata la città dopo il terribile assedio che sconvolse il suo equilibrio multiculturale, rischiando di trasformare la città nota come “Gerusalemme dei Balcani” in un groviglio balcanico di oscura interpretazione? La città che si è ritrovata sia a dare il via ufficiale alla prima guerra del XX secolo in Europa (con l’assassinio dell’arciduca austriaco Francesco Ferdinando nel 1914) sia ad essere il terreno dell’ultimo scontro armato (i 1200 giorni di assedio dal 1992 al 1995), vive una fase in cui il dopoguerra sembra essere ancora in corso. Lo spirito propositivo degli abitanti, però, è tutt’altro che sopito. Con profonda dignità, la ricostruzione, sia fisica sia spirituale, avanza. Una passeggiata nel centro storico aiuta a scoprire un po’ di questa stupenda città in rinascita.
Compendio di storia delle religioni
C’è quella cattolica e quella ortodossa, a pochi metri di distanza. E basta girare l’angolo per trovare il tempio ebraico. Anche se è probabile rimanere affascinato soprattutto dai minareti e dalle moschee. Tutti elementi all’apparenza culturalmente distanti fra di loro. In realtà una delle peculiarità di Sarajevo è proprio la vicinanza geografica di edifici di culto diversi, che sorgono a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, senza gerarchie di sorta.
Una passeggiata lungo le vie del centro permette di ammirare il patrimonio artistico e architettonico sacro, di immergersi in un piccolo compendio di storia delle religioni e di riflettere sulla pacifica convivenza di religioni e culture differenti che da secoli abitano questa città. Fin dalle sue origini nel 1400, Sarajevo è abitata da una popolazione di religione mista, musulmana, ortodossa e cattolica. Ma anche la presenza degli ebrei ha origini antiche: arrivarono alla fine del 1400, allontanati dalla Spagna cattolica e, all’inizio, a causa delle differenze di lingua e di tradizione religiosa, non furono accolti molto bene. Fu Bej Sijavus Pascià, per placare gli animi, a concedere loro uno spazio dove nel 1581 fu eretto il primo tempio ebraico. La sinagoga sefardita che si può ammirare ora, ricoperta di pietra e circondata da un cortile, in una via laterale alla Ferhadija, è stata costruito nel 1821: sul muro una targa ricorda Laura Papo Bohoreta (1891- 1942), la prima e più famosa scrittrice ebrea bosniaca.
Tornando sulla via principale, sulla Trg Fra Grge Martica sorge la cattedrale cattolica. L’imponenza neogotica di questa chiesa, costruita tra il 1884 e il 1889 dall’impero austriaco, richiama le linee architettoniche di Notre Dame di Digione in Borgogna. A pochi metri di distanza, nella Saborna Crkva, qualche anno prima, tra il 1863 e il 1868, l’architetto macedone Andrija Damjanov progettò la cattedrale ortodossa, costruita anche grazie a fondi provenienti dalla Russia: l’importanza dei serbi, sia dal punto di vista demografico sia da quello politico, stava infatti aumentando in città e la chiesa fu costruita per dar loro maggiore rappresentatività. Nelle vicinanze, infine, verso la metà del corso realizzato nel periodo asburgico, ci si imbatte nella piccola e antica moschea di Ferhadija, edificata nel 1562 per volontà di un discendente di una nobile famiglia bosniaca e caratterizzata da una grande cupola e da tre cupolette che coprono il portico.
Una città lungo la Miljacka
Tutte le città attraversate da un fiume hanno un fascino speciale. Ma a Sarajevo la Miljacka ha determinato la forma stessa della città, che si sviluppa in senso longitudinale, seguendo il corso del fiume (chi vuole perlustrare tutta la città a piedi deve prepararsi a camminare un bel po’!). Il centro di Sarajevo, con le aree commerciali e sociali, si adagia lungo una valle, per poi inerpicarsi sulle colline circostanti, che ospitano i piccoli quartieri residenziali. Non esiste dunque né una vera e propria piazza principale né un centro storico tradizionalmente inteso, bensì tanti lunghi viali che, nel loro susseguirsi, svelano le diverse anime della città.
Lungo il corso centrale della Miljacka si trovano alcuni fra gli edifici più importanti e simbolici, come la Biblioteca nazionale (in realtà progettata a fine ‘800 per ospitare il municipio). Ancora oggi ricoperto di impalcature e in attesa di finanziamenti per tornare all’antico splendore, l’edificio testimonia più di altri il cosiddetto “memoricidio”, ovvero la distruzione attuata durante l’assedio di tutti i palazzi che conservavano la memoria della Sarajevo cosmopolita: la biblioteca custodiva un milione duecentomila titoli, trentratremila periodici e rarissimi codici e documenti del periodo ottomano.
Lungo il fiume si scoprono anche alcune storie curiose, come quella di Inat Kuca (la Casa della ripicca), il cui proprietario accettò di trasferirsi sulla sponda opposta solo a patto che gli austriaci gli ricostruissero la casa tale e quale nel luogo in cui, peraltro, si trova tutt’ora, trasformata in ristorante tipico. E ancora, attraversando alcuni dei suoi ponti più belli, come il Ponte Latino (che deve il suo nome al quartiere dei cristiani, definiti “latini” dai concittadini orientali), che conduce esattamente nel punto in cui, quasi un secolo fa, nel 1914, Gravrillo Pincip sparò all’arciduca Francesco Ferdinando (data diventata il inizio “ufficiale” della Prima Guerra Mondiale) e dove oggi sorge il Museo della Sarajevo asburgica dal 1878 al 1918.
La magia di Baščaršija (e della sua fontana-simbolo)
Una visita all’anima turca della città è imprescindibile, così come una foto davanti alla fontana Sebilj, simbolo di Sarajevo. Difficile descrivere a parola l’atmosfera sospesa che si respira nella piazza principale del quartiere. Baščaršija è qualcosa di più e di diverso rispetto a un suk orientale: il mercato non è coperto, se non in alcune zone, di solito vecchi caravanserragli, come il Moriča Han (che risale al 1500 e, dopo una lunga e travagliata storia di incendi e distruzioni, venne aperto nel cortile. I negozi si susseguono affacciati su viuzze strette e acciottolate: tra i più suggestivi c’è il vicolo Kazandžiluk, quello dei calderai, dove gli oggetti di rame messi in vendita sono prodotti nei laboratori artigianali dei retrobottega.
Impossibile resistere all’atmosfera sospesa di questo luogo, che diventa ancora più suggestivo quando cala la sera, i negozi chiudono i portoni di legno massiccio, si accendono le luci ad illuminare i minareti e le moschee. Anche la fontana Sebilj, moderna interpretazione delle fontane ottomane, quasi anonima durante il giorno, al crepuscolo si trasforma in un gioiello di luce amaranto.
Dal quartiere turco a quello moderno. Ininterrottamente
Le tante anime di Sarajevo si scoprono percorrendo le strade del centro che attraversa, senza soluzione di continuità, il quartiere turco e quello moderno, passando per le strade del periodo asburgico.
Lasciata Baščaršija, si prosegue lungo Sarači, una delle strade più antiche e belle della città, luogo di ritrovo dei conciatori di pelli. Su questa via si affacciano alcuni edifici importanti, come la splendida moschea Moschea Gazi-Husrevbey le cui misure (cupola di 13 metri di diametro e 26 di altezza e minareto alto 45 metri) offrono già un’idea della sua grandiosità: è l’esempio più rappresentativo dell’architettura ottomana in tutta la Bosnia e forse anche degli interi Balcani. È stata costruita nel 1530 e nel cortile ospita una splendida e riccamente intarsiata fontana per le abluzioni. Di fronte, dall’altro lato della strada, c’è la Kuršumlija Medresa, la Scuola superiore islamica: ben 24 cupolette e 12 comignoli caratterizzano la prima istituzione educativa della Bosnia. Oggi l’ampio patio, attorno al quale un tempo si aprivano le stanze per gli studenti, ospita mostre e mercatini. A lato, la Torre dell’orologio che, in particolare di notte, crea un suggestivo contrasto con il minareto.
Al termine di Sarači, superata la piazza con l’imponente cattedrale cattolica, si imbocca Ferhadija, su cui si affacciano palazzi dallo stile architettonico tipicamente asburgico. Qui si trova un po’ di tutto: dai negozi alla moda ad una scacchiera gigante, dove decine di cittadini di ogni età si ritrovano per giocare insieme (anche la mattina del 1° gennaio!). Alla fine del corso e della zona pedonale, alla confluenza con la Mula Mustafe Baseskije, si trova un monumento originale: è il Fuoco Eterno (Vječna Vatra), ovvero una fiamma che brucia perennemente, incorniciata da un imponente edificio di stile neorinascimentale. Fu accesa il 6 aprile 1945, giorno della liberazione di Sarajevo dal nazifascismo e da quel momento arde costantemente (unica eccezione: durante l’assedio di Sarajevo, a causa della mancanza di olio) per ricordare tutti i caduti della seconda guerra mondiale. Oggi, durante l’inverno, il calore della fiamma dà conforto e tepore anche ai mendicanti della città.
La naturale continuazione della Ferhadija è la Maršala Tita, la grande arteria trafficata dove comincia la Sarajevo contemporanea: i palazzi liberty poco alla volta cedono il passo agli edifici moderni, sedi di multinazionali, ma anche a grandi spazi verdi, come il Veliki Park, il Parco grande che si inerpica fin sulle colline della città.
Fra tram e grattacieli il volto antico e moderno della città
Vecchissimi tram percorrono i viali su cui si affacciano alti grattacieli di vetro: a Sarajevo a convivere non sono soltanto le religioni differenti, ma anche i volti antico e moderno della città. La zona più recente, dove sorgono palazzi e grattacieli, sembra volersi imporre quasi in maniera scomposta, quasi a voler dimostrare che la città è pronta per portare a compimento la sua rinascita. L’apparente contrasto fra tradizione e innovazione si fonde ancora una volta nello spirito internazionale che pervade questi luoghi.
Fra gli edifici moderni, spiccano le cosiddette Twin Towers, le Torri gemelle attualmente sede del Business Centre dell’United Investment and Trading Company ma che nell’estate 1992 bruciarono e rimasero distrutte per molti anni (immagine che richiama alla memoria altre Torri gemelle che sarebbero bruciate 19 anni dopo, dall’altra parte dell’Oceano).
Con i suoi 172 metri, la Avaz Twist Tower (ospita un ampio centro congressi) è invece il grattacielo più alto dei Balcani: salendo in pochi secondi i suoi 36 piani grazie al velocissimo ascensore, si può pranzare nel ristorante o anche solo sorseggiare un caffè mentre ci si gode il panorama della città dalle vetrate disposte a 360 gradi intorno alla torre.
Il vetro è il materiale scelto anche per la sede del Parlamento, realizzata fra il 1974 e il 1982 e ristrutturata di recente grazie all’aiuto del governo greco, dopo aver subito notevoli danni durante l’assedio della città progettate dall’architetto. Un altro edificio che non passa inosservato è l’hotel Holiday Inn. Non un albergo come gli altri: durante l’assedio fu risparmiato dalle granate perché ospitava i giornalisti di tutto il mondo che cercavano di far capire cosa stava capitando nella Gerusalemme dei Balcani. Comprendere i Balcani: un’attività fondamentale in periodo di guerra, ma non meno importante oggi, negli anni della loro rinascita.