Nel corso della Storia l’uomo ha spesso cancellato enormi tesori: si trattasse di suoi simili (come gruppi o singoli portatori di altre culture e visioni del mondo), di monumenti della cultura o della natura.

Se concentriamo la nostra attenzione su alcuni momenti del Ventesimo secolo, possiamo pensare ai milioni di uomini e donne che nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale sono scomparsi portando con sé patrimoni di sentimenti, affetti, qualità (… e difetti), capacità intellettuali e manuali. Pensiamo poi a quanti beni, specchio della cultura ottocentesca e del primo Novecento, sono scomparsi con il bombardamento di semplici abitazioni private: a Gorizia come a Dresda – entrambe rase al suolo – e in mille altri luoghi.

Questo scritto di Andrić (“Al cimitero ebraico di Sarajevo”, 1954) ci rammenta una di queste enormi perdite: quella del ricco mondo ebraico; in particolare di quello estremamente vitale insediato per secoli a Sarajevo. La vicenda degli Ebrei sefarditi in fuga dalla penisola iberica a fine Quattrocento conosce pagine splendide nel lungo soggiorno sarajevese, prima di conoscere la fine per mano delle forze naziste e ustascia.  

Da ultimo, rivolgendoci ai tempi più recenti, non dimentichiamo il destino di quel poco che era rimasto di un gruppo protagonista della vita della città: l’emorragia finale e forse mortale dell’esodo del 1992, quando alla festa per i 500 anni della presenza ebraica si sono sostituiti il terrore dell’assedio e la fuga in Israele. A Sarajevo oggi rimane un esile fiamma, da conservare con cura e amore.


Grazie al nostro partner “Centro Documentazione Pavanello” di Meolo per averci suggerito la pubblicazione.


Il saggio di Ivo Andrić è rinvenibile nel volume “Sul Fascismo”, curato da Božidar Stanišić e pubblicato da Nuovadimensione di Portogruaro. Ringraziamo calorosamente la casa editrice per averci consentito di inserire queste pagine nel nostro sito.

Venezia Mestre, 27 gennaio 2021

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