La casa del popolo costruita da Ceausescu in centro a Bucarest è, con una superficie di 330’000 metri quadrati, il secondo più grande palazzo al mondo dopo la sede del Pentagono negli stati uniti, per volume supera del 10% la piramide di Cheope. La sua costruzione ha comportato la distruzione di 40’000 abitazioni ed un quinto dei quartieri storici di bucarest, 19 chiese ortodosse, 6 sinagoghe e 3 chiese protestanti.
Le sue bianche pareti regolari in stile gotico stalinista (detto anche classicismo socialista o dai più ironici stile a torta nuziale) raggruppano i grandi finestroni quadrati che a loro volta celano stanzoni da venti metri quadrati, oggi vuoti e polverosi: gli abitanti di Bucarest sembrano avere di meglio a cui pensare che alle vecchie architetture comuniste.
Bucarest è comunque soprannominata la Parigi dell’est, eppure tranne che per l’arco di trionfo ed un paio di quartieri verdi attigui all’università quello che vediamo è un ammasso ordinato, pesante ed indeciso di vecchi blocs sovietici: grandi palazzoni rettangolari con vecchi intonaci grigi e decadenti, ringhiere arrugginite, vetri sporchi, miseri panni stesi al sole ed un generale senso di tristezza architettonica, oggi in frantumi, come le idee che la forgiarono. Sul tetto di questi blocs, quasi ironia della sorte, sono insegne pubblicitarie di Coca Cola e Pepsi ad imperare.
Solo al piano terra, sui marciapiedi, la citta’ si da un tono e dei colori piu’ vivaci: negozi, fast foods, shops, rivendite, luci e cartelloni, ma dietro a tutto questo si intravvede chiaramente lo spettro della povertà, della prostituzione, della tossicodipendenza infantile e dei bambini di strada.
E’ Lorenzo Mazzoni a darci una prospettiva della decadenza di Bucarest, con il suo Porno Bloc, edito da Lite Editions, forografie di Marco Belli e traduzione di Mihai Mircea Buctovan. Mazzoni cammina per Bucarest, e scrive appunti di viaggio, di ciò che vede, di ciò che intuisce, alcuni di questi ci trasportano quasi in un altro mondo, fuori dal tempo, quello dei frantumi di umanità dove il limbo della periferia di Bucarest oggi esiste, e che ce ne restituisce alcuni frammenti su il Fattoquotidiano.it Emilia Romagna: “Vai a Bucarest d’inverno, ricopriti con tre cappotti e cinque strati di magliette dello Steaua. Di notte fa meno quindici gradi. I pochi parchi sono spogli, le strade buie. Guarda sotto i tuoi piedi. Osserva le mani che sollevano il tombino. Segui il passo ciondolante dei bambini che sono usciti dal sottosuolo. Vai dietro i loro passi. Ricordati, quando sarai a casa, di aver visto un moccioso di otto anni inalare colla Aurolac e poi crollare al suolo. Ricordati, tienilo a mente che nelle fogne di Bucarest vivono centinaia di bambini. Migliaia di metri di sottosuolo riscaldato dai tubi dell’acqua bollente. Pavimento di fango e rifiuti umani. La reggia degli orfani rumeni. La più terribile conseguenza della rivoluzione (?) dell’89, il decreto di chiudere tutti gli istituti per minori dello Stato. Gretti minatori e perdigiorno del Fronte della Salvezza Nazionale che, sbarazzatisi del tiranno, accompagnavano cortesemente i figli di nessuno fuori dagli orfanotrofi”, oppure: “Vai in giro per la fredda notte di Bucarest. Attraversa i quartieri di Amzei, Cismigiu, Lipscani. Segui le risate e il profumo stonato dei corpi sudati. Eccolo il Malibu, con le sue ninfette da striptease. Il Babes e il Lucky Love, sexy-club per stranieri avvinazzati”, ancora: “ Vai a zonzo fino all’alba. Aspetta sul ciglio della strada un taxi sgangherato. Guidato da un ometto orbo che, come i più fortunati reduci dell’89, fa due lavori: quando non guida aiuta la moglie a vendere merletti. La figlia è andata in Italia a fare la badante. Adesso la vogliono rimandare a Bucarest”.
Lasciamo Bucarest veloci come siamo entrati, la foto ricordo accanto alla casa del popolo e all’arco di trionfo, un paio di bloc immortalati e già la capitale scivola dietro ai nostri piedi.