Sarà inaugurata il 20 gennaio presso la Casa della Cultura di Peja/Peć la mostra che ripercorre i luoghi e la vita dell’attore Bekim Fehmiu. “Bekim Fehmiu. Ricchezza perduta nel silenzio” è il risultato del un percorso di ricerca realizzato nell’ambito dell’Area Dialogo Conflitto e Memorie del Comitato Servizi di Cooperazione coi Balcani e realizzato con il sostegno della Provincia Autonoma di Trento. Il progetto che ha portato alla realizzazione della mostra ha coinvolto giovani volontari ed esperti provenienti da Prijedor, Peja/Peć, Pristina, Kraljevo e Nis, territori con i quali il CSCB collabora stabilmente.
La mostra presenta il risultato degli sforzi di tutti i partecipanti per stabilire un dialogo interpersonale ed uno scambio di esperienze fra comunità diverse.Il gruppo di lavoro Dialogo, Conflitto e Memorie è coordinato da Simone Malavolti e Rossana Fontanari e ha come obiettivo la promozione del patrimonio culturale condiviso delle comunità coinvolte attraverso l’investigazione del passato comune. La scelta di realizzare una mostra su Bekim Fehmiu riflette i temi trattati nel corso degli incontri. Come sottolineano i partecipanti al progetto, la storia personale di Fehmiu dimostra la capacità di superare l’appartenenza nazionale e al tempo stesso di salvaguardare la complessità e la diversità delle proprie identità. Fra gli eventi collaterali della mostra, due importanti iniziative aperte al pubblico: la presentazione dell’autobiografia di Bekim Fehmiu Brilliant and Terrifiying, pubblicata nel 2001, e la tavola rotonda a Peja/Pec sul tema della cultura come strumento di dialogo tra i popoli.
L’INTERVISTA A NEVENA NEGOJEVIC, CURATRICE DELLA MOSTRA
Per approfondire i temi trattati, proponiamo un’intervista con Nevena Negojević, curatrice della mostra. Nata nel 1985 e recentemente laureata in Archeologia all’Università di Belgrado, Nevena Negojević si occupa di management culturale, pratiche curatoriali e presentazione del patrimonio culturale all’interno di istituzioni museali.
Come sei arrivata ad occuparti di questa mostra nel ruolo di curatrice?
L’idea di realizzare una mostra sulla figura di Bekim Fehmiu è nata durante un workshop organizzato a Peja/Peć nell’Aprile 2011, all’interno dell’Area Conflitto, Dialogo e Memorie, con partecipanti provenienti anche da Pristina, Kraljevo, Nis e Prijedor. In occasione di un secondo workshop a Belgrado abbiamo approfondito quest’idea con Radina Vucetić, docente universitaria di storia contemporanea all’Università di Belgrado. Una volta deciso che avremmo realizzato una mostra su questo personaggio, ci siamo suddivisi gli ambiti di ricerca in modo che ognuno raccogliesse materiale sul proprio territorio.Mi è stato poi proposto di seguire il percorso come curatrice della mostra perché avevo già una certa familiarità con la figura di Bekim Fehmiu e la sua posizione nel contesto in cui è vissuto. Nel corso dei miei studi inoltre mi sono occupata, e continuo a farlo, di questioni relative agli aspetti espositivi all’interno di mostre ed istituzioni museali.
Come descriveresti questa mostra?
La mostra raccoglie e racconta la vita di Bekim Fehmiu, dalla prima infanzia fino all’ultimo periodo prima del suicidio. Abbiamo cercato di mettere in luce la complessità della sua personalità: Fehmiu era al tempo stesso jugoslavo e albanese, uomo di famiglia e qualcuno che gli altri guardavano come una stella del cinema e un playboy.
Un aspetto particolarmente interessante è che la maggior parte del materiale che abbiamo raccolto sia scritto in prima persona. Questo ci ha permesso di presentare la sua storia, nello specifico la complessità del personaggio e la profonda ricchezza della sua personalità, come se fosse proprio Bekim Fehmiu a parlare di se stesso in prima persona.
Dal mio punto di vista di curatrice, ho cercato di enfatizzare questo aspetto, facendo in modo che la sua storia personale apparisse di fatto narrata in prima persona, attraverso le fotografie e le didascalie che le accompagnano. Il ruolo delle didascalie è in questo senso essenziale: le foto che ritraggono Bekim sono accompagnate da brevi testi – articoli di giornale e simili – in cui è lui stesso a descrivere l’importanza e il significato di un dato avvenimento.
Abbiamo scelto quindi una prospettiva personale che è allo stesso tempo garanzia di neutralità, benché una neutralità completa non sia mai possibile. Siamo partiti dal nostro punto di vista soggettivo, che si riflette soprattutto nella scelta stessa di occuparci di Bekim Fehmiu. In ogni caso, credo che questa sia una buona strategia. Che sia lui a parlare della propria vita, del contesto e di tutto quello che ha sperimentato dal proprio punto di vista. In questo modo, ciò che emerge e viene messo in risalto è l’estrema dignità che lo ha caratterizzato a partire dall’infanzia fino alla fine della sua esistenza. Questo è anche il dato più notevole del personaggio Fehmiu. Si possono individuare parametri molto chiari che lui ha adottato e seguito nel corso di tutta la sua vita. Questa sua coerenza è una caratteristica molto affascinante.
Perché proprio Bekim Fehmiu? Come avete scelto il soggetto del vostro lavoro di ricerca?
Ci siamo interrogati su chi potesse rappresentare il patrimonio culturale condiviso dei territori coinvolti in questo progetto. Il gruppo ha proposto la figura di Bekim Fehmiu, per via della sua biografia e perché lui rappresenta molto bene questo sostrato comune: nato a Sarajevo, da genitori albanesi, vissuto a Scutari e poi a Prizren, dove è cresciuto prima di trasferirsi brevemente a Pristina e quindi a Belgrado. Fehmiu è stato il primo albanese ad essere ammesso all’Accademia di Arti Drammatiche di Belgrado, per poi diventare membro permanente del Teatro Drammatico Jugoslavo. Da quel momento in poi è iniziata la sua ascesa verso la fama internazionale, sancita dal film “Ho visto anche zingari felici” e dalla collaborazione con il regista italiano Dino De Laurentiis. A ciò sono seguiti molti successi, fra cui la serie per la televisione “Odissea.” Una carriera fatta di circa 74 film, un numero impressionante, che lo ha portato ad essere il primo attore di origine albanese ad ottenere riconoscimenti internazionali nella seconda metà del ventesimo secolo.
Ma Fehmiu non è certo l’unico personaggio che riunisce nel proprio percorso di vita i tre territori coinvolti in questo progetto. Abbiamo scelto lui per per le sue prese di posizione di fronte al manifestarsi delle spinte nazionaliste nei Balcani. Mi riferisco agli anni dal 1987 al 1989: Fehmiu fu colpito in maniera molto profonda dalle ostilità crescenti, tanto che non riuscì a scendere a patti con questi avvenimenti orribili e decise di abbandonare la propria carriera fino ad arrivare a compiere ciò che può essere definito un “suicidio pubblico”. Dal 1987 decise di non comparire più in pubblico, fino al 2001, quando riapparve per poco, in coincidenza dell’uscita della sua autobiografia. In quell’occasione rilasciò qualche intervista, per poi sparire nuovamente fino al momento del suo suicidio.
Il dato più significativo della sua personalità è il fatto che in mezzo alle fratture e ai crimini perpetrati, dagli anni ’90 fino ad oggi, lui sia riuscito in qualche modo a preservare la propria dignità di essere umano. Lo ha fatto attraverso il silenzio e l’assenza dalla scena pubblica, scelte che gli sono costate molto perché lo hanno costretto ad abbandonare la passione di una vita, la recitazione. Questo è a mio avviso il momento più emblematico della sua vita, quello in cui ha deciso di rinunciare alla recitazione. Una scelta a cui si è attenuto fedelmente per dimostrare la sua opposizione a ciò che stava accadendo. Una scelta molto dignitosa e difficile, in cui la componente razionale affianca quella emotiva.
Qual’è l’idea che volete trasmettere al pubblico in riferimento alla scena attuale?
Mi auguro che attraverso la storia personale di Bekim Fehmiu, così come l’abbiamo presentata in questa mostra, i visitatori colgano la riflessione sviluppata nel corso dell’intero progetto che ci ha portati a realizzare quest’esposizione. L’esplosione del nazionalismo ha causato enormi sofferenze. Ma è importante comprendere un aspetto che viene spesso dimenticato, e cioè che i nazionalismi non sono esistiti da sempre, a priori. Il nazionalismo come fenomeno nasce a partire dal 1800. Allo stesso modo, l’identità nazionale non coincide con la nostra identità personale, è un attributo che si costruisce col tempo, che si può cambiare. Non è scolpita dentro di noi, ma è qualcosa che si costruisce, che cambia e si può ridefinire in base alla situazione di riferimento. Vorrei che i visitatori, grazie a questa mostra, riflettessero sul fatto che non è l’ appartenenza nazionale a determinare le qualità di una persona, bensì le sue decisioni, ciò che pensa, ciò che fa, il modo in cui si pensa ed il modo in cui si agisce. Questi elementi sono sicuramente più importanti del luogo in cui una persona nasce. Il messaggio centrale di questa mostra è che l’identità dipende dal comportamento che una persona mantiene nel corso della propria esistenza, più che dalla sua appartenenza nazionale.
Quali reazioni ti aspetti, da parte del pubblico, di fronte a questa mostra?
Questa è la prima mostra che curo, e quindi sono impaziente di capire quali saranno le possibili, diverse reazioni. Più di ogni altra cosa, mi auguro che il materiale che abbiamo raccolto e che presentiamo permetta al pubblico di cogliere la ricchezza della personalità di Fehmiu, e come lui sia riuscito a coniugare diverse identità. Fehmiu rappresenta perfettamente la capacità individuale di coniugare identità plurime: è stato jugoslavo, albanese e molte altre cose. Il mondo del cinema europeo ed internazionale lo definiva un playboy, un’etichetta che non gli è mai piaciuta. Lui è stato sempre fedele alla sua relazione, un’unione quasi ideale con la moglie Branka Petrić, basata sulla fiducia, il rispetto e la comprensione. Una frase sicuramente emblematica in questo senso riguarda il modo stesso in cui lui stesso si definiva: “Jugoslavo di origini albanesi”. Tutta la sua vita è una storia “jugoslava.” Vent’anni fa, tutti noi eravamo jugoslavi, con una qualche origine nazionale, è vero, che però passava in secondo piano. Un fatto che contrasta con l’importanza che oggi viene data all’appartenenza nazionale. Quando questo tipo di appartenenza ha preso il sopravvento, lui ha deciso di ritirarsi dalle scene. Come albanese che viveva a Belgrado, nel momento in cui si affermavano i movimenti nazionalisti Bekim Fehmiu si è sentito potenzialmente esposto alla manipolazione da più parti: questa mostra celebra anche la sua volontà di sottrarsi a tali strumentalizzazioni.
Quali risultati sono stato raggiunti nel corso del progetto, dal punto di vista dei partecipanti?Si sono stabilite relazioni molto buone all’interno del gruppo che ha lavorato alla realizzazione di questa mostra, e si è formato un gruppo coeso di persone che hanno sviluppato una comprensione profonda degli eventi di cui ci siamo occupati. Ricerca, raccolta dei materiali e sviluppo delle idee alla base di questa mostra sono state realizzate in maniera partecipativa. Questo ci ha permesso di comprendere il significato della nostra attività e anche di capire che cosa vogliamo fare in futuro. Tutti i partecipanti si sono trovati d’accordo con il messaggio e l’idea alla base della mostra, un’ottima premessa per ulteriori collaborazioni.
La mostra “La ricchezza perduta nel silenzio” sarà inaugurata il 20 gennaio alla Casa della Cultura di Peja/Peć. Nel corso del 2012 sarà ospitata a Kraljevo, Niš, Prijedor e Trento. Hanno partecipato alla realizzazione della mostra: Aleksandar Pavlović, Draško Vraneš, Fitim Krasniqi, Flaka Xhaferi, Halida Selimović, Jovan Zlatičanin, Maddalena Alberti, Marigona Ademi, Mile Vujasin, Nevena Negojević, Sokol Broqi, Sladjana Miljevic, Ilija Petronjievic e Elbert Krasniqi.
BEKIM FEHMIU, CENNI BIOGRAFICI
Bekim Fehmiu è nato a Sarajevo nel 1936 da genitori albanesi. La famiglia, inizialmente allontanata dal Kosovo a causa dell’orientamento filo-albanese del padre, torna a Prizren nel 1941. Nel 1956, Fehmiu si iscrive all’Accademia di Arti Drammatiche di Belgrado, città nella quale passerà il resto della propria vita. Dopo gli inizi come attore teatrale, la svolta nella sua carriera arriva con il ruolo di Beli Bora nel film di Aleksandar Petrović “Ho visto anche zingari felici.” Da questo momento in poi, Fehmiu partecipa a numerose produzioni internazionali, recitando nel corso della propria carriera in più di 70 film e in ben 9 lingue diverse. Celebre in Italia come Ulisse nell’Odissea del ’68, Fehmiu è stato il primo attore di origine albanese a recitare su tutti i palcoscenici della Jugoslavia. Nel 1987 si ritira dalle scene, spiegando il gesto come una forma di protesta contro il generale deterioramento della situazione politica e sociale e la montante propaganda anti-albanese. Le sue riflessioni sul potenziale distruttivo dei nazionalismi si sono dimostrate spaventosamente profetiche, così come le sue prese di posizione forma di auto-censura portata alle estreme conseguenze. A posteriori si intuisce come l’attore sia giunto a queste riflessioni anche per la propria esperienza biografica – Fehmiu visse in prima persona e fin dall’infanzia il peso della contrapposizioni di opposti interessi nazionali.
Dopo un silenzio lungo 14 anni, rilascia un’intervista a Politika nella quale esprime tutto lo sconforto per l’aver visti i propri peggiori timori avverarsi. Il figlio più giovane, Uliks, ha scritto: “L’implosione della Jugoslavia, la terribile guerra fratricida, la distruzione di Vukovar, il bombardamento di Dubrovnik, il lungo assedio di Sarajevo, la guerra in Kosovo, hanno spinto mio padre a ritirarsi ulteriormente. Ha messo da parte le parole, che sono il più forte e meraviglioso mezzo a disposizione di un attore. Le ha messe da parte e le ha trasformate in silenzio – in protesta.”Dopo anni trascorsi nel silenzio, il 15 giugno 2010 si è suicidato a Belgrado.