L’appuntamento è fissato di prima mattina davanti alla sede del Tavolo Trentino con Kraljevo, in cielo qualche cirro solitario circonda un sole già caldo. A guidare la carovana di macchine c’è Dragana Veljović, storica collaboratrice del Tavolo e tra i membri fondatori del Convivium. Siamo diretti nei luoghi della sua infanzia, nei dintorni del villaggio di Gledić e più precisamente nel sobborgo di Rakija – sì, proprio così: stesso nome della famosa acquavite balcanica. Forse la ragione si cela nel fatto che in questa valle la produzione di rakija si è sempre accompagnata alla presenza umana, in qualche modo ne ha rappresentato il genius loci.
All’interno della fattoria di proprietà della famiglia di Dragana è stata organizzata una giornata inaugurale del nascente convivium Slow Food. Dopo un’ora di guida, abbandoniamo le vetture presso Gledić e proseguiamo a piedi risalendo un clivo in mezzo ad una fitta vegetazione composta per lo più di faggi e querceti. “Stiamo percorrendo la Carski Drum (letteralmente “Via dell’imperatore”, ndr), un’antica via che al tempo dei grandi Imperi univa Vienna con Costantinopoli”. Dragana ha voglia di raccontare, tra questi alberi ci ha trascorso le sue estati di bambina: “secondo un’antica leggenda, questo bosco è abitato da numerose fate con una particolare passione per il canto. Quando ero piccola mio nonno mi raccontò che una sera, tornando a casa dal kafić del paese, ad un crocicchio si imbatté in un gruppo di fatine intente a giocare e cantare: secondo me però era solo molto ubriaco!”.
Del gruppo fa parte anche Dessislava Dimitrova, botanica bulgara nonché coordinatrice Slow Food per il Sud-Est Europa. Dragana le mostra i pruni da cui ricava la šljivovica, la famosa grappa alle prugne diffusa un po’ in tutti i Balcani. Come un’inafferrabile femme fatale, anche questi pruni ti si concedono lentamente: “questi alberi sono difficili, dànno frutti ogni tre anni. Dal primo raccolto non si ricava nulla, dal secondo pochissime prugne; solo al terzo anno i rami si riempiono di frutti”. Con Dessislava si parla anche dei passi futuri del Convivium, che nel giro di qualche anno dovrebbe aprire un Presidium Slow Food proprio di šljiva. Il nome, sarà inevitabilmente “Rakija iz Rakije”.
Mučenica, o della fatica umana.
Arriviamo alla fattoria di Dragana, costruita nella prima metà del novecento.” La nostra era una famiglia benestante, lo puoi riconoscere dalle finestre con doppie vetrate presenti nella casa. Pochissime persone se lo potevano permettere a quei tempi…”. Nella stanza da pranzo tutto è già apparecchiato per il pranzo, sono previsti una trentina di invitati da varie parti della Serbia: autorità locali di Kraljevo, il convivium di Belgrado, giornalisti… Dragana mi spiega che questa sala riveste da sempre una funzione importante: è il luogo dove si festeggia la Slava, il santo patrono di ogni nucelo familiare. “Ogni casa in Serbia ha una sala, spesso non si dispone nemmeno di stanze da letto per tutta la famiglia ma una stanza riservata alla celebrazione della Slava non manca mai. Parenti, amici e conoscenti sono invitati, la casa è aperta a tutti quelli che arrivano”.
Quando entriamo nella distilleria casalinga – ricavata probabilmente da una vecchia stalla adiacente la casa – Slobodan Đusić è già intento a controllare l’alambicco di rame da cui sgorga il distillato: è lui il majstor rakije, alchimista pronto a trasformare le dolci prugne nell’acquavite più amata di queste terre. La caldaia è già al lavoro, ricolma del succo precedentemente fermentato negli immensi tini di legno. La caldaia è collegata, mediante un tubo, ad un serpentino di raffreddamento al fondo del quale si raccoglie il distillato. Ci raccogliamo silenziosi attorno a Slobodan come davanti ad uno sciamano, in attesa che il rito collettivo si compia.
Come sempre, anche Slobodan ci tiene a precisare che la “sua” è la šljiva più pura, eccezionale e buona di tutta la Serbia. Zoran Pejković – altro membro del convivium – ci spiega nel dettaglio il delicato processo di distillazione: “ogni distillazione si compone di tre fasi: la prima, chiamata ‘prvenac’, va scartata perché è etanolo – di solito si tratta dei primi 2 o 3 litri che fuoriescono dall’alalmbicco; allo stesso modo si fa con la terza e ultima parte, patoka, che è aspra e acida. In un corretto processo di distillazione si deve tenere solo la parte centrale, detta jezgra (letteralmente seme o nucleo, ma a livello figurativo si può tradurre come “l’essenziale”, ndr). Purtroppo sempre più spesso si produce rakija anche dalla prima e terza fase, aggiungendo inoltre additivi chimici… per questo sulle etichette delle nostre bottiglie precisiamo sempre il corretto processo seguito qui a Rakija, oltre all’utilizzo di soli prodotti naturali.” Una volta distillata, se lasciata invecchiare in botti di legno di quercia la šljiva può durare anche trent’anni senza perdere in qualità. La distillazione è tuttavia solo l’ultimo – il più felice, attimi di socialità e dolce attesa – passaggio di un lungo e faticoso percorso segnato dalla fatica dell’uomo. Si inizia con il diradare parti di bosco per la piantagione dei pruni, poi quando giunge la maturazione si passa alla raccolta dei frutti, per arrivare infine nei mesi di novembre e dicembre alla distillazione. Pochi sanno che la rakija da queste parti è anche chiamata mučenica, la martire, e mučenici gli uomini che lavorano per farla arrivare sulle tavole. “Vieni qui ad agosto-settembre, i mesi della raccolta”, mi dice con tono di sfida Zoran, “così capirai il perché di questo soprannome”.
Comunità del cibo.
Momento ufficiale della giornata, prima del pranzo ogni membro del convivium presenta a giornalisti e partecipanti le proprie attività: Zoran – lo stesso che ci ha svelato i segreti della distillazione – è proprietario di un antico mulino ad acqua a pochi chilometri dalla fattoria che ha da poco rimesso in funzione e presto tornerà a macinare grano per i contadini della zona; poi Radoje, coltivatore di frutti di bosco da cui ricava marmellate, da tre anni ha aperto una piccola produzione con la quale spera di raggiungere i mercati europei; Zoran e Ljube, coppia di cuochi proprietari di una kafana a Gledić.. nelle parole di Dragana, che apre le presentazioni, “l’obiettivo è di rafforzarci e sostenerci a vicenda, offrendo un’ampia gamma di prodotti tutti accomunati dal fatto di provenire da queste terre, naturalmente biologici e dunque ‘unici’”. Buono, pulito e giusto, per usare un’espressione cara a Terra Madre, rete mondiale delle comunità del cibo ma soprattutto incarnazione pratica di tutte le idee e concetti promossi da Slow Food. Il convivium di Gledić andrà così ad affiancarsi al multiverso di contadini, cuochi, docenti universitari, allevatori e consumatori (o meglio co-produttori) che nel Sud-Est Europa così come in altre parti del mondo hanno deciso di ripartire dalla terra, valorizzandone diversità ed unicità. Comunità del cibo come entità complesse e pluriarticolate, fortemente radicate nei propri territori sui quali investono attraverso una presa in carico della loro sostenibilità alimentare, ambientale e sociale. Rifondando un nuovo patto sociale tra chi coltiva, alleva, trasforma, distribuisce e consuma il proprio cibo.
L’associazione Viaggiare i Balcani già include nei suoi percorsi di turismo responsabile organizzati con il Tavolo Trentino con Kraljevo una visita alla fattoria della famiglia di Dragana, sostenendo così a livello economico le attività di questi piccoli produttori. Dopo un luculliano pranzo a base di kajmak, sarme (foglia di cavolo ripiena di riso e carne), affettati e salsicce fatte in casa, arrosto di maiale e agnello si dà inizio alla festa nell’aia, tra danze folkloristiche e l’immancabile šljiva ad animare le discussioni. Si giunge così al tramonto, gli occhi rossi di gioia, stanchezza o semplicemente d’alcol. Partiti anche gli ultimi invitati, il fruscio delle querce è interrotto solamente dai passi di Radojka, l’anziana zia di Dragana. Occhi vitrei e mani segnate dal lavoro di una vita, è oggi l’unica persona ad abitare e mandare avanti la fattoria. Si muove con incedere fermo e deciso dall’orto al porcile seguendo invisibili traiettorie, i maiali già scalpitano affamati – per lei la giornata non è ancora terminata.