50 giorni di luoghi alieni, di lingue incomprensibili, alla ricerca di sentieri incerti, è un viaggio che ti cambia fuori e anche dentro. Difficile raccontare tutto. Lo rifaresti? “Probabilmente no. Sono partito allegro e forse senza realizzare del tutto dove andavo”. Spieghiamo la mappa, l’unica dove il percorso c’è per intero è una datata carta stradale in scala 1:750.000. Guardiamo il rettilineo ideale che tocca una fettina di Slovenia e poi Croazia, Bosnia, Montenegro, Kossovo, Albania, Macedonia e Grecia settentrionale, Epiro e Tessaglia. Una riga blu netta e pulita. “Basta andare per di lì e si arriva”. Beh, la differenza tra il viaggio pensato e quello reale, sta disegnata su questo foglio di carta. Alla riga netta del cammino ideale si intreccia la sinuosità del percorso reale, fitto di date e nomi strani. 20 settembre, Male Mune. “Partito da un giorno e già lontano, un altro mondo nel cuore dell’Istria”. 24 settembre: cima del Tuhobic. “Da lì vedo il mare per l’ultima volta”. 3 ottobre. Zelenkovac. Qui, solo cirillico”. 16 ottobre, Zabljak, “40 km di sentieri duri per attraversare il Durmitor”. E così via.
Facciamo qualche calcolo sulla rotta. “Ho camminato per 1.450 chilometri, misurati con un pedometro, che ho tarato con buona precisione. Ho preso qualche passaggio, per altri 190 km, in alcuni posti ostici da traversare a piedi, uno era la piana a sudest di Fiorina, in Grecia”. Strade o sentieri? “Grosso modo, metà e metà”. Ma presto, le strade diventano sempre più piccole e l’acqua scompare. “Poco dopo Fiume ho perso di vista l’autostrada costiera. Serpeggiava accanto al mio percorso, dovevo salire verso il Risnjak, la sua presenza un fastidio continuo. Non ne avrei più vista una. I Balcani sono il regno delle piccole strade libere dalle auto, ne passano poche, se arriva una macchina puoi quasi giurare che si ferma”. Le Dinariche sono montagne carsiche, l’acqua se ne va nel sottosuolo. “Un problema per chi si muove a piedi. Ho fatto anche una decina di chilometri per arrivare a un paese, trovare dell’acqua”. Ma i fiumi sono fantastici. “Fiumi da sogno, come a Scepan Polje, dove la Tara diventa Drina”. E’ lì una delle gole più lunghe, oltre 60 chilometri. Una stradina spettacolare che le segue dall’alto. “In Bosnia la Una, un torrente incassato con belle cascate, e ogni tanto passa un gommone da rafting”.
Fuori rotta ma senza bussola, e con pochi segnali. “La bussola? Non funzionava. Subito i primi problemi, nelle interminabili foreste della prima parte della Bosnia. Avevo fatto troppo affidamento sull’altimetro multifunzione, l’ azimut ha cominciato subito a farmi impazzire”. Non si può pensare di attraversare i Balcani come se si andasse a fare una haute route delle Alpi. Soprattutto, non ci sono percorsi segnati. “Mille stradine, mulattiere, vie forestali, e trovi al bivio, e non c’è nessuno. E arrivi in un posto, ma non c’è il nome del posto. E a quel punto è l’intuizione che ti fa decidere. Molte scelte sono state così, un po’ casuali. A volte sono finito nell’imprevedibile. E non è stato un male”. Verso la fine del cammino, a circa 100 km dall’Olimpo, ci si immette su un itinerario tracciato: è l’E4, uno dei grandi percorsi europei, viene dalla Scandinavia.
Pierluigi aveva una cinquantina di copie di una sua poesia tradotta in varie lingue, compreso l’albanese. Comincia così: Ciao, io sono un uomo che cammina, un viandante, un pellegrino, un curioso, fai tu. Attraverso terre nuove, forse più belle o più dure, forse più aspre o più dolci della mia, non so. Il breve massaggio, nato per spiegare il senso della propria presenza e a superare le barriere, funzionava abbastanza, con eccezioni. “Lo leggevano e vedevo il volto, il sorriso, e si aprivano le porte e i cuori. A Sarajevo avevo esaurito tutte le copie dei foglietti e ho dovuto farne delle altre. Se mi capitava che lo restituissero senza guardarmi e parlare, non era buon segno”. Le notti andavano a fortuna: spesso arrivava l’invito in una casa, in una fattoria. Ma molte volte si fa il campo con la tenda ultraleggera, un riparo appena sufficiente a sdraiarsi.
La stagione avanza, la prima neve è già sopra Jaice. “Non c’è una sola Bosnia, ce ne sono (almeno) due. Una è la Srpska. Tra le due un confine palpabile”. Il viandante arriva a Jaice si trova, dopo 15 giorni, un internet point. Scrive una mail: Sono di nuovo sulla linea che unisce Trieste a Sarajevo e l’Olimpo dopo aver vagato a lungo per evitare la statale. Oggi la prima neve sopra di Jaice e la vista dall’alto del mio prossima cammino tra monti senza pianure. Ho provato a trovarmi a camminare fuori strada in una zona minata.
Quella delle mine, una minaccia costante. “Ho visto la case dei poveri mitragliate su tutti e quattro i lati, con cieca determinazione. E dove la guerra non è passata cova nei confini tra un valle e l’altra, ferite aperte”. Prima della partenza avevamo cercato sulle carte ufficiali le zone minate, segnate da chiazze purpuree, un morbillo rosso senza soluzione. Le fonti citano almeno 11.000 siti. “Ma un conto è la teoria e un contro la pratica. Le mine sono un incubo ricorrente. Ci sono i cartelli, ci sono le dritte dei locali. E poi arrivi lì e ti vengono i dubbi. I cartelli forse non sono messi per chi arriva da un sentiero laterale. E la strada? Può essere minata la strada? Un giorno alcuni ragazzi locali cercano di spiegarmi: vicino a quella casa forse ci sono le mine. Forse no. Qual è il lato giusto? Non capisco nulla. E poi sono minati anche i passi di montagna”.
Le esperienze adrenaliniche aprono un altro capitolo. “Una notte vengo preso a calci nel sacco a pelo. Erano una decina di cacciatori bosniaci. Ma poi per scusarsi mi hanno aperto casa loro, abbiamo bevuto assieme”.
Il Montenegro si rivela ospitale, i visi allegri. Montagne spettacolari. Uno dei posti imperdibili era Gusinje, nel sud del paese. “Ci volevo andare, è legato al ricordo di un racconto di Ismail Kadaré, il grande scrittore albanese, che mi era piaciuto molto… Ma non ci sono arrivato. Prima difficoltà di orientamento, poi mi ferma la polizia locale. Il problema è passare dal Montenegro all’Albania settentrionale attraverso montagne sono tra le più “alpine” dell’intero percorso. Sono le cime già gelate del Prokletije”. Ma il “confine triplo” tra Montenegro, Albania e Kosovo è ancora un’area delicata. Sembra incredibile che qui sia stato progettato un grande parco naturale internazionale. “I passi sono minati, mi dicono. Sarà vero? Magari è un trucco per non spedirmi tra i picchi. Ma nel dubbio, desisto”. La condanna a una lunga via alternativa: Pec, Decani, Dakovica.
“Sono entrato in Kosovo passando da Pec. Qui trovo un po’ di visi ostili. Guai a entrare in un bar chiedendo in serbo. Qui la questione lingua è essenziale, per avere risposte si deve parlare albanese. Faccio fatica a trovare il monastero di Decani”. E lì, finalmente, qualcuno parla italiano. “Ogni tanto parlavo in tedesco. Incredibile quanto serve il tedesco”.
Ma l’Albania? “Dal valico di Vrbnica entro in Albania. In cammino verso Kukes. Mi chiedo dov’è la bellezza, dov’è il segreto da scoprire, cammini dieci ore e quando sei arrivato sei in un villaggio-città da incubo. Palazzoni, bruttezza. Lì ho provato la solitudine. Siamo abituati all’impero del viadotto, alla logica del rettilineo”. “Andate in Albania, a guardare cos’è una strada. Un contorcimento, una teoria interminabile di tornanti e saliscendi. E vai, e vai, e sei sempre più o meno nello stesso posto”. La montagna albanese è ancora molto abitata. “Gente e ragazzi, dappertutto. A gruppetti mi seguono a lungo, dopo ogni villaggio. Curiosi, un po’ invadenti”.
Altri viaggiatori? “Qualcuno in giro c’è. In genere sono cicloturisti. A piedi, come me, nessuno. Ho incontrato uno svizzero nel cuore dell’Albania. Giovane, capelli da rasta, con una vecchia bici, non è neanche una mountain bike. Va così piano che sulle salite lo raggiungo. E’ partito da Basilea. Cerca “gli elefanti”. Un po’ fuori No, ho capito che era un mattacchione simpatico”.
Pierluigi arriva a Debar, entra in Macedonia. La gente è cordiale, il paese verde e dolce, le montagne silenziose. Una corsa attraverso la valle del Crni Drim, poi il lago di Ohrid, è una visione da cartolina. “Sono ospite dei barbuti monaci di Sveti Naum, sembra un film”. Da qui il percorso è più facile, spariscono i problemi d’orientamento, il sentiero E4 è un’autostrada escursionistica. “L’Olimpo con i suoi 2.900 e passa m appare da molto lontano, devo studiare bene la salita. L’incontro fortunato con un esperto di montagna locale mi spiana un po’ il cammino”. L’ultima notte? “Una stalla a 2.500 metri. Vicine le mandrie al pascolo. L’indomani verso le 10 arrivo in cima. Dèi in vista, nessuno”.
Fonte: http://www.osservatoriobalcani.org
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