Fatme ha 59 anni, il suo viso è segnato da rughe profonde, lasciate dal duro lavoro nei campi di tabacco nella regione di Goce Delchev, la città conosciuta nell’antichità col nome Nevrokop. Il suo corpo appesantito è avvolto da shalvari (larghi pantaloni) dai colori sgargianti, la testa è avvolta da una shamiya (velo), particolare da cui si capisce subito che la donna è una pomakiniya (bulgara di religione islamica) del villaggio di Debren.
Fatme quest’anno ha preso due ettari di campi in affitto per 60 leva (30 euro) per coltivare tabacco, a cui ha dovuto aggiungere spese per 100 leva (50 euro) per dissodare il terreno e i vari prodotti necessari alla coltivazione. L’aiuta la nipote Atidzhe, che è tornata in Bulgaria alcuni mesi fa dalla Spagna, dove sono rimasti a lavorare i suoi genitori, che però hanno visto le proprie entrate diminuire a causa della crisi.
Molti degli abitanti di Debren si guadagnano da vivere lavorando nell’edilizia e nei campi in Spagna, ma dall’anno scorso, viste le mutate condizioni economiche, non pochi hanno fatto ritorno. Le foglie di tabacco, una volta asciugate, si vendono a 4,50 leva al chilo. L’anno scorso Fatme ha raccolto 500 chili. Se poi per caso cade la grandine, tutto il duro lavoro sotto il sole cocente va perduto in pochi minuti. Il tabacco rimane a tutt’oggi l’attività economica più diffusa tra i pomacchi dei monti Rodopi.
Nel villaggio di Ribnovo, alto tra le cime, nella municipalità di Garmen, le donne sembrano uscite da una fiaba, avvolti e agghindati di shalvari e shamiyi dai colori sgargianti. Chiedo a Nadzhie, anziana di 68 anni, se davvero nel villaggio le ragazze vengono fatte sposare a 15 anni. Nadzhie ride, e mi spiega che la maggior parte delle giovani si sposa intorno ai 18-20 anni. C’è però chi davvero si sposa a 15 anni. “La cosa bella del regime di Todor Zhivkov [quello comunista, n.d.r.] è che non faceva vedere porcherie in televisione. Oggi fanno vedere ‘quelle cose’, ed è per questo che qualcuna si sposa a 15 anni”, sostiene Nadzhie.
Ayrie: sogno l’ “hadzh”
Grossi nuvoloni neri e carichi di pioggia nascondono il sole su Ribnovo, portando vento e forse la temuta grandine. Ayrie Babechka corre sulla strada che costeggia la moschea per coprire le fragole nell’orto di suo figlio, un orto grande e ben tenuto, come la maggior parte di quelli di Ribnovo. Poi si inerpica nella ripida stradina che porta alla sua casa, dove ha lasciato la nipotina di sei mesi. Il figlio e la nuora di Ayrie sono lontani, lavorano nei campi di tabacco intorno a Petrich.
Ayrie è diventata Ana al tempo del “processo di rinascita”, quando i nomi dei musulmani sono stati cambiati forzatamente, ma subito dopo la caduta del comunismo nel 1989 tutti a Ribnovo hanno riottenuto i loro nomi originari.
La mia ospite è la “sciamana” del villaggio, la “maestra di cerimonia” che dipinge di vernice bianca, broccato e pajette il viso delle “gelini”, come a Ribnovvo vengono chiamate le spose. La cerimonia di matrimonio a Ribnovo è qualcosa di magico. A truccare le “gelini” non può essere una donna qualunque. Secondo la tradizione, la sposa, velata, guarda guarda il mondo attraverso uno specchio che tiene tra le mani. Se intravede le fattezze di qualcuno nello specchio, con quella persona si incontrerà “all’altro mondo”. “Allora incontrerai molte ‘gelini’”, dico ad Ayrie.
I matrimoni si svolgono a ritmo di musica, e i “zurni” risuonano tra le vallate dei Rodopi. I musicisti non sono però a buon mercato. “Lavoriamo come matti, ma come matti spendiamo, anche. Quando è toccato a me, ho dato 800 leva per i suonatori di ‘zurni’ del villaggio di Debren”, racconta Ayrie. Tanto per fare paragoni, nelle piccole fabbriche tessili nel villaggio, in cui lavorano solo donne, si guadagna da 300 ai 370 leva al mese.
Ayrie è anche la “stilista” del paese. Al primo dei due piani della sua casa, dove si trova la culla della sua nipotina, ci sono tre macchine da cucire, con cui Ayrie taglia e cuce shalvari e mantelle, ma anche vestiti da sposa. Ayrie ha molti “clienti”, visto che a Ribnovo tutte le donne portano gli shalvari.
“Nessuno ci può vietare o obbligare a fare qualcosa contro la nostra volontà. Venti giorni fa ero in gita a Velingrad. Una donna di là mi ha detto di credere che ci danno 200 leva al mese per portare il velo. Ma la cosa è ridicola! A Ribnovo vivono 3000 persone. Chi è così ricco per pagare una somma così alta?”
La mia ospite racconta che tutti nel villaggio studiano la religione islamica, ma nessuno lo fa perché forzato. Ayrie sogna di poter partire un giorno per lo “hadzh”, il pellegrinaggio rituale alla Mecca e a Medina, come hanno già fatto più di 100 abitanti di Ribnovo, pagando per il viaggio intorno ai 2-3000 leva. Ayrie studia anche il Corano.
“Quando andremo all’altro mondo, di questo ci chiederanno. Non c’è salvezza se non nel Corano e nella preghiera. Noi ci prostriamo cinque volte al giorno. Io lo faccio in casa, ma posso andare anche in moschea”.
Ayrie racconta che nel villaggio le storie d’amore nascono sulla strada dove i giovani vanno a passeggiare. I matrimoni avvengono soprattutto all’interno del villaggio, o al massimo tra giovani di villaggio vicini, ma raramente tra persone di diversa religione. “Questo non è bene, una religione difficilmente si intende con un’altra. Noi siamo bulgari musulmani, tra bulgari e bulgari ci sono differenze”.
Arif, “la religione prevede il velo per le donne”
Nel caffé “Mladost”, vicino ad una delle due moschee di Ribnovo, è posto in bella vista un calendario che indica l’ora per la preghiera rituale. Ad un tavolo siede Arif, 30 anni, che beve il suo caffè in attesa della preghiera. Arif prega tutti i giorni, non ha perso una preghiera nemmeno quando lavorava nei campi in Spagna. Arif spiega che le donne di Ribnovo portano il velo “perché l’Islam lo prevede, e se vuoi essere religioso, devi rispettare i comandamenti”.
Arif ha lavorato in Spagna con altri uomini di Ribnovo, e in dieci anni, risparmiando, è riuscito a tirar su casa e a trasferirsi la insieme alla moglie e ai due figli. Ha pagato tutto in contanti, come succede spesso da queste parti, dove la gente non chiede prestiti alle banche, ma dai parenti, senza alcun documento, ma solo sulla fiducia reciproca.
Secondo i dati della municipalità di Garmen, l’anno scorso 500 uomini di Ribnovo hanno lavorato nei cantieri della località invernale di Bansko, guadagnando in media 1000 leva al mese l’uno. Negli ultimi 2-3 anni, che hanno visto un vero picco dell’attività edilizia, ogni anno a Ribnovo vengono costruite 20-30 case nuove. Vengono poi acquistate belle automobili e materiale tecnico per le case.
Anche Arif, però, come molti altri emigranti in Spagna e Grecia, è tornato a casa a causa della crisi, che ha colpito soprattutto edilizia e agricoltura. Adesso molti lavorano a Bansko, o a Sofia. Arif oggi vive “sia qui, a Ribnovo, che là, in Spagna”, ma di emigrare definitivamente “non ci penso proprio. Mi piace qui, questo è un posto tranquillo e silenzioso. L’unico problema è il lavoro. Qui non c’è criminalità, non c’è droga, la vita è tranquilla. Là ci sono più soldi, ma non hai amici, sei sempre uno straniero. ‘All’estero non si trova casa’, lo canta anche Ivana [popolare cantante del pop-folk n.d.r.]. Noi amiamo il nostro paese e alla fine torniamo
(osservatoriobalcani.org)