A quel tempo il fiume non era attraversato da ponti, e la gente passava da una riva all’altra guadandolo nei punti il corso d’acqua aveva creato dei bacini che la gente locale chiama Brod. Da quel momento il villaggio venne chiamato Martin Brod, ovvero il Brod di Marta.
A Martin Brod il fiume Una si unisce con il suo affluente Unac. Il posto dell’unificazione della Una con l’Unac, dicono i locali, è un posto d’amore. Qui ci vengono a fare l’amore le coppie che vogliono avere bambini.
La vecchia chiesa di Rmanj si trova all’entrata di Martin Brod, costruita dalla principessa Katarina Branković. Dietro la chiesa si vedono i versanti del canyon del fiume Unac dove si voleva costruire la diga. Fortunatamente tutta la zona è stata proclamata Parco Nazionale nel 2008, fermando per ora questa terribile idea.
Martin Brod è un paradiso e come tutti i paradisi si trova in un punto di confine. Confine bosniaco oggi, in passato austroungarico e ottomano. Nell’ultima guerra come anche nella seconda guerra mondiale fu occupato dalle forze Croate che solo dopo un intervento internazionale si ritirarono da Martin Brod nel 1995. Era una decisione del ministro croato degli affari interni Ivan Penić che arrabbiò il presidente croato Franjo Tuđman. Gli abitanti di Martin Brod furono costretti ad abbandonare il posto a causa dell’ultima guerra e iniziarono a ritornare solo quattro anni più tardi, nel 1999 quando tornarono soprattutto gli abitanti più anziani che in nessuna altra parte dell’ex Jugoslavia trovavano quella pace che c’era a Martin Brod. Uno che ci vive a Martin Brod presto si abitua al rumore delle numerose cascate e quasi non lo nota più, però appena lasciato il posto il silenzio diventa insopportabile e non riesce più ad addormentarsi senza il ninnananna del fiume.
Uno di loro, Milan Reljić, descrive il benessere a Martin Brod nel suo modo unico: le donne che si sposavano a Martin Brod non scappavano mai da qui, si viveva bene.
Vista sul Canyon del fiume Unac dietro la chiesa
E infatti, quasi tutte le case a Martin Brod hanno un torrente che passa dietro l’abitazione o in mezzo al cortile. I paesani non si lasciavano mai scappare tutta quest’acqua senza usarla. Numerosi mulini erano costruiti a Martin Brod e una volta si viveva solo attraverso la macina del grano portato dagli abitanti dei villaggi nei dintorni. Il fiume e i torrenti prestavano la loro forza anche a fabbri e casalinghe che raramente lavavano a mano. Quando ancora in nessuna parte della Bosnia e dell’Europa esistevano le lavatrici a Martin Brod l’ingegno della gente locale portava a costruire delle piccole dighe sui torrenti dove i vestiti venivano lavati con la forza dell’acqua e senza nessun detersivo. Una delle ultime di queste ‘lavatrici ecologiche’ si possono ancora vedere proprio da Milan Reljić, che tra l’altro tiene attivo anche il suo vecchio mulino macinando grano per i propri bisogni e per la curiosità dei turisti in visita.
I bacini del fiume Una, che nella lingua locale si chiamano Brod (letteralmente “nave”). Secondo la leggenda la ragazza Marta attraversava il fiume camminando sui lati di questi bacini con intenzione di visitare il suo amante sull’altra riva. La corrente quel giorno era assai forte, e Marta annegò. Il posto da quel tempo porta il nome Martin Brod, ovvero Nave(bacino)di Marta.
La vita a Martin Brod però sta diventando sempre più dura. Neanche i più anziani si ricordano di tempi così difficili. La comunità apparteneva una volta al comune di Drvar, di maggioranza serba, e dopo l’ultima guerra è stato unito con il comune di Bihać, popolato maggiormente da bosgnacchi e croati. I ritornati vedono in questo l’intento delle autorità della Federazione della Bosnia Erzegovina (la seconda entità amministrativa nella Bosnia dopo la Republika Srpska) di rendere la vita difficile per gli abitanti di Martin Brod. I mulini non lavorano da tanto tempo e anche se ci fosse bisogno per macinare i giovani se ne sono andati da questo posto che sembra non avere futuro. La Federazione come anche il comune di Bihać hanno grandi progetti per lo sviluppo di Martin Brod. Ma il problema è proprio quello. A Martin Brod non servono dei progetti grandi che alla fine danneggerebbero il perfetto equilibrio che regna da secoli nella zona. Basta dare ai locali il potere di decidere sopra il loro destino. I fiumi Unac e Una sono per esempio ricchi di pesci, tanto da essere famosi oltre i confini della Bosnia.
Quasi la metà della cascata centrale di Martin Brod, alta più di dieci metri, è scomparsa. L’imprevedibile fiume Una ha trovato una strada sotterranea o tra le rocce e ha lasciato una parte del fiume in secca. I sedimenti rimasti dopo la scomparsa del fiume che si possono facilmente tagliare si usavano una volta per la costruzione delle case. La chiesa locale di Martin Brod è tutta costruita col travertino.
Ma gli abitanti di Martin Brod di questa ricchezza non godono tanto. Le tasse che i numerosi pescatori pagano non fanno molto effetto all’economia locale e finiscono quasi tutte nel bilancio del vicino comune di Bihać. Uno sviluppo sostenibile del posto sembra non essere la priorità dei politici del Paese. Uno di loro, fino al 2010 ministro per lo sviluppo energetico della Federazione, aveva anche l’idea di costruire a Martin Brod, proprio dietro il monastero sul fiume Una, una centrale idroelettrica. Sarebbe stata una delle 250 centrali che il ministro con il suo team aveva progettato per i fiumi della Bosnia Erzegovina, il Paese che già in questo momento esporta il surplus dell’energia elettrica ai Paesi vicini ed a un prezzo più basso di quello che per lo stesso prodotto pagano i cittadini bosniaci.
All’idea del ministro si opposero i cittadini di Martin Brod, del comune vicino di Kulen Vakuf, la chiesa ortodossa e numerose organizzazioni non governative, in primo posto il Centro per lo sviluppo sostenibile di Martin Brod. Per anni però il ministero sembrava essere sordo alle proteste. Nel 2008 per fortuna vinse l’idea di trasformare tutta la regione di Martin Brod e di una zona lungo il fiume Una in un Parco nazionale, l’unico nella Federazione. Per ora sembra che si siano attenuate le voci sulla centrale idroelettrica. Sarebbe stato un disastro, ritengono gli abitanti di Martin Brod. La diga di cemento sosterebbe la forza del fiume, ma le rocce intorno sono molto fragili. È successo già una volta. Cinquant’anni fa si è provato a costruire un’autostrada da Bihać a Drvar e proprio a Martin Brod, dietro il monastero si è strappata una parte della roccia uccidendo alcuni operai che in quel posto stavano provando a scavare una galleria. La struttura di queste rocce è un mistero, imprevedibile, non si sa mai se sono le rocce che decidono il corso del fiume o è il fiume che scolpisce la propria via d’uscita dalla valle. Una diga potrebbe perciò causare cambiamenti nel flusso del fiume. Come per mandare l’ultimo avviso qualche mese fa proprio al centro di Martin Brod il fiume Una ha di nuovo dimostrato di essere nello stesso tempo bello ma anche selvaggio e incontrollabile. Tutta una parte della Cascata maggiore a Martin Brod non c’è più. Il fiume sembra essersi annoiato della stessa strada e ha fatto scomparire una parte delle sue acque nelle roccia lasciando al terreno e ai turisti immaginare la forma della cascata di una volta.
Quasi ogni casa di Martin Brod ha un proprio ruscello che permetteva una volta agli abitanti di costruirci diverse strutture utilizzando la pressione dell’acqua. Uno che ci vive si abitua facilmente al rumore dell’acqua e alla freschezza che questa porti con se.
La proclamazione del Parco Nazionale è stata perciò accolta con entusiasmo. Però sono passati tre anni e di cambiamenti se ne vedono pochi. Solo dal maggio di quest’anno il Parco ha avuto un direttore e degli uffici. “La proclamazione del Parco nazionale per ora ha evitato Martin Brod diventi una Vajont balcanica. Il problema è che però un Parco nazionale per politici e industriali locali comunque non da un’idea di uno sviluppo sostenibile ma di uno sfrenato sfruttamento con l’unico scopo di guadagno” sostiene Paola Lucchesi, la fondatrice del Centro per lo sviluppo sostenibile di Martin Brod. Come prova di quanto detto, Paola menziona il progetto della costruzione di un ‘eco-villaggio’ sulle rive del fiume Unac, una costruzione fermata a metà a causa della mancanza di risorse. Invece che investire nelle strutture già esistenti si preferisce dar vita a dei progetti più grandi che a lungo termine danneggiano l’ambiente e non danno molto stimolo allo sviluppo dell’economia locale. Anzi, sembrano fare del loro meglio per eliminare la concorrenza.
Dall’anno scorso il governo federale ha approvato una legge che vieta ai pensionati di fare attività economiche aggiunte. La maggior parte degli abitanti di Martin Brod che ospitavano nelle loro case sono proprio pensionati che, a differenza dei pensionati di Sarajevo o Mostar dove questa legge potrebbe avere più senso, devono spendere la loro pensione media di circa 150 euro per pagare il viaggio a Bihać o Drvar se hanno bisogno delle medicine visto che a Martin Brod una farmacia non c’è e un medico viene in visita solo una volta in settimana.
Uno dei pochi mulini rimasti a Martin Brod. Una volta ce n’erano più di 40 in tutto il posto e tutti i paesani dei paesi d’intorno venivano qui per macinare il loro grano.
Nello stesso tempo Martin Brod, un paradiso proprio al confine tra Bosnia e Croazia, non ha un punto ufficiale di attraversamento tra due Paesi aperto per il pubblico. I turisti che visitano i laghi di Plitvice in Croazia (a pochi chilometri da Martin Brod) se vogliono visitare questo paesino devono recarsi prima a Bihać e poi guidare per altri trentacinque chilometri per arrivare a Martin Brod e tornare indietro per andare a casa. La ferrovia che una volta collegava Martin Brod con Knin in Croazia ancora non è aperta per il traffico pubblico…
L’ultima parola, sono convinti gli abitanti di Martin Brod, la darà il fiume Una. É uno smeraldo che si lascia ammirare ma non conquistare e le sue acque irrequiete rovineranno quello che non gli piace.